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Il disegno delle parole, Edit Expo Pordenone, 1994
Castello di Belgioioso, 1995

La scrittura è quella dei pennarelli, ma soltanto quelli neri.
L’ impianto dell’ immagine è come uscito da un fish eye, o da un grandangolo di una “camera chiara“. Ma, notato questo non si è ancora inteso nulla dell’ invenzione di Fabio
Sironi. Nulla di quel suo affastellare i segni e dunque gli oggetti.
Nulla di quel suo sapiente deformare, senza stravolgerli, gli oggetti.
Nulla della ossessiva presenza di corde, fili, intrecci, nastri; e poi ancora frammenti, residuati, grovigli.
Il mondo che Sironi rappresenta è un mondo senza persone, come sospeso fuori del tempo, fuori degli accadimenti, un mondo che però non è affatto ingenuo ma carico di cultura, di storia.
Capire un poco il senso di queste sue scelte, di questo suo rapporto con la tradizione dell’ immagine, può essere un passo ulteriore per intendere “ racconto “ di Sironi.
Ecco dunque il groviglio, i resti come sistema, una intera redazione del più grande quotidiano come un’ abbandonato campo di battaglie.
Qui il rapporto non è, come potrebbe apparire, con Dada ma, semmai, col Surrealismo, quello di Tinguely piuttosto che quello di Magritte, quello di Ernst piuttosto che quello di Dalì. E appunto dal Surrealismo, ma come riletto attraverso il fumetto di Hugo Pratt, muovono le idee più sottili che ritroviamo in queste immagini, e prima di tutto la sensualità profonda, l’ambiguità raffinata che da queste promana.
Eppure nel racconto di Sironi scopriamo anche una carica diversa: queste stanze piene di eventi le cui tracce si condensano nel groppo ingombrante

e prevaricante delle tracce, dei resti, dei frammenti, queste stanze non sono raccontate semplicemente attraverso la lingua un po’ usurata dei surrealisti, ma sembrano prendere vita anche da altre fonti, più vicine.
Un ‘ altro nesso, un’ altra mediazione evidente nella “ scrittura “ di Sironi è con le lingue della Pop inglese, soprattutto con la grafia di Hamilton e con quella di Allen Jones.
Ed è attraverso la Pop inglese che Sironi rappresenta un suo diverso “estraniamento“, espone un evento, suggerisce una descrizione analitica senza realmente farsi trasportare dal “ racconto “.
Ma come mai Sironi a puntato dapprima sulla cultura del Surrealismo, quindi sulla trascrizione Pop per narrare la dimensione di un giornale ed ha scelto di non rappresentare personaggi ma solo spazi e memorie della loro esistenza ? Proviamo a rovesciare la domanda: che cosa avrebbe potuto dirci una immagine del quotidiano con dentro, poniamo, le caricature dei redattori, con gli operai in campo, col direttore seduto sulla sua poltrona ? Sironi ha pensato il giornale come la vuota scena di una pièce del tempo surrealista e ha proposto la sola “ vera “ storia che per lui doveva essere raccontata, la storia degli oggetti che si intrecciano, sovrappongono, che debordano, si accumulano e incombono come veri protagonisti degli spazi.
Certo, per raccontare tutto questo, la sola lingua del Surrealismo con le sue ovvie simbologie falliche non poteva bastare: ecco dunque l ‘idea di una trascrizione “ fredda “ attraverso appunto la Pop Art, la ripresa del fumetto e dell’ illustrazione e l’ adozione di un impianto di scena visto come attraverso un grandangolo per aumentare lo spaesamento, per far vedere al lettore, ma soprattutto al giornalista, quello che di solito non vede, la dimensione estraniata del suo operare. Insomma, ecco un raccontare sul raccontare, una critica per immagini intense, ironicamente connotate, di un altro modo di narrare, appunto della “ scrittura “ letteraria.

Arturo Carlo Quintavalle